“Si può, siamo
liberi come l'aria
Si può, siamo noi che facciam la storia
Si può, Libertà libertà libertà
Si può, siamo noi che facciam la storia
Si può, Libertà libertà libertà
libertà
obbligatoria”
-Giorgio Gaber-
Ci risiamo? Speriamo di no, ma
temiamo di sì. Un altro studente italiano è detenuto al Cairo, senza la
possibilità di ricevere visite sottoposto a torture per quasi 17 ore. Il suo
nome è unico, Patrick Zaki, ma la sua storia è tremendamente simile a quella di
tanti altri. Tremendamente simile alla storia di Giulio Regeni, arrestato,
torturato e ucciso dai servizi egiziani 4 anni fa. La vicenda di Patrick risveglia
le coscienze e fa rivivere fantasmi che fanno paura. Fantasmi che riportano a galla
le sistematiche violazioni dei diritti umani compiute dall’Egitto. Questa volta
però, deve essere diverso. Questa volta l’Italia non può e non deve girarsi
dall’altra parte. Non può permettere che quei fantasmi abbiano la meglio. Non può
permettere un nuovo caso Regeni.
Arresto – Attivista e
ricercatore egiziano, Patrick George Zaki ha 27 anni e da agosto vive a Bologna
dove ha iniziato a frequentare il prestigioso master “Gema”, il primo Master
Erasmus Mundus in Europa che si occupa di Women’s and Gender Studies. A inizio
febbraio, dopo aver sostenuto gli ultimi esami del semestre, aveva deciso di
tornare a Mansura per trascorrere qualche giorno con la sua famiglia prima della
ripresa delle lezioni. Ma la sua famiglia Patrick non l’ha ancora rivista.
Atterrato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio è stato fermato e preso in consegna
dalla polizia egiziana che gli ha contestato i reati di "istigazione al
rovesciamento del governo e della Costituzione". Stando ai legali della
famiglia, l’arresto sarebbe stato effettuato in esecuzione di un ordine di
cattura spiccato nel 2019 ma mai notificato al ragazzo.

Fango – La detenzione
di Patrick è infatti ampiamente giustificata dai media egiziani che si sono
affrettati ad innescare una terribile macchina del fango per mettere alla gogna
il giovane attivista. In un paese in cui l’informazione è tutt’altro che libera,
all’arresto sono seguite le accuse da parte di tutti i mezzi di comunicazione.
Giornali, telegiornali, radio, siti di informazioni, tutti d’accordo sulla
legittimità dell’arresto. Tutti d’accordo sulla colpevolezza di Patrick, il
cospiratore alimentato dall’Europa, l’eversore che in Italia studiava come
diventare omosessuale, un pericoloso complottista tornato in patria per
sovvertire l’ordine statale.
Non c’è spazio per ribattere
in Egitto. Una macchina del fango orchestrata alla perfezione, sostenuta persino
dai giornali ufficiali del governo. “Patrick è un’attivista per i diritti umani
e per i diritti umani gay e transgender” riporta il settimanale ‘Akhbar El Yom’,
giornale di proprietà del parlamento egiziano, secondo cui “questo fatto
scioccante arriva a mettere a tacere le voci che difendono Patrick e i suoi
tentativi di mostrarlo nell'immagine degli oppressi”. L’obiettivo del regime è
chiaro: mostrare Patrick come un pericolo per la nazione, come un eversore che
vuole far crollare l’Egitto. Il rischio, ora, è che la questione di Patrick
diventi una questione di identità nazionale. La narrazione dei media punta a
compattare il popolo egiziano, a convincerlo di una verità distorta. Ripetere
mille volte la verità di stato per mettere a tacere le voci che arrivano da
fuori. Per screditare le pressioni della comunità internazionale dipingendole
come ingerenze esterne in un caso di sicurezza nazionale.
Manifestazioni – Screditata
dall’Egitto, però, la comunità internazionale non intende fermarsi. Peter Stano,
portavoce del Servizio di azione esterna dell’Unione Europea, ha annunciato che
una delegazione dell’UE è al Cairo per effettuare accertamenti e decidere quali
azioni intraprendere. Proprio all’Unione Europea chiede uno sforzo importante ‘Amnesty
International’, l’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella
difesa dei diritti umani che sta seguendo il caso, che ha sottolineato l’importanza
di un’azione concreta immediata lasciando da parte questo “eccesso di attesa e
prudenza”. Azioni concrete che sono però ostacolate dall’Egitto che già in
occasione dell’udienza del 22 febbraio ha lasciato fuori dall’aula i delegati
UE sostenendo il proprio diritto a processare un cittadino egiziano secondo le
proprie regole.

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