Le proteste contro la governatrice Carrie Lam hanno raggiunto ieri un punto di rottura. I manifestanti chiedono le dimissioni del governo e il ritiro del 'Extradition Bill'.
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Uno striscione appeso all'esterno del Parlamento
sintetizza lo spirito dei manifestanti
(ph: Giovanni Balducci)
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Ieri, Nel giorno del 22° anniversario dalla fine del dominio
coloniale, le proteste ad Hong Kong hanno raggiunto livelli mai visti prima. I
manifestanti, dopo ore di assedio, hanno occupato per più di tre ore il palazzo
del Parlamento. All'esterno dell’edificio la bandiera cinese è stata sostituita
da una bandiera nera della città, simbolo delle proteste, mentre all'interno
sventolavano bandiere coloniali. Dopo 156 anni di dominio inglese, Hong Kong, è
diventata una Regione amministrativa speciale della Cina il 1° luglio 1997. Grazie
al lungo passato coloniale la città ha però sempre goduto di una grande
autonomia dalla Cina. Gli accordi stipulati tra Londra e Pechino stabiliscono
infatti che Hong Kong possa mantenere un’economia capitalista fino al 2047 ed ha
una totale liberà in tutti i settori con l'eccezione della difesa e della politica
estera. A scatenare le proteste degli ‘Hongkongers’ è stato il rischio di
perdere parte di questa libertà, a livello giudiziario, rafforzando il legame
con Pechino. A preoccupare, soprattutto i più giovani, è la legge sull’estradizione
voluta dalla Chief Executive, Carrie Lam. Dopo le ingenti
manifestazioni, il 15 giugno la governatrice aveva deciso di sospendere ogni
decisione sulla riforma rimandando la sua approvazione a data da destinarsi. Il
ritiro della proposta di legge però non è bastato ai manifestanti che pensano
sia solo un modo per calmare le acque per riproporla appena la situazione sarà
tornata alla normalità.
‘Extradition bill’
- La riforma è stata proposta mesi fa dopo la mancata estradizione a Taiwan
di un ragazzo accusato di aver ucciso la propria fidanzata a Taipei. Hong Kong
ha attualmente accordi di estradizione con soli 20 stati, tra cui Regno Unito e
Stati Uniti, e con questa legge vorrebbe colmare l’assenza di accordi con gli
altri paesi regolando in linea generale i rapporti in materia in tutti i casi
al di fuori di quelli già stabiliti. Portata avanti con forza dalla leader del
governo di Hong Kong, Carrie Lam, la legge prevede la possibilità per le
autorità di estradare chi è sospettato di gravi crimini. John Lee, segretario
per la sicurezza di Hong Kong, ha precisato che i “gravi crimini” per cui sarà
prevista l’estradizione sono tutti i reati punibili con una condanna uguale o
superiore ai 7 anni di reclusione.
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I messaggi dei manifestanti sul Lennon Wall di Hong Kong
(ph: Giovanni Balducci)
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Il procedimento per l’estradizione, previsto dalla legge, è complesso
e prevede alcune garanzie. Dopo una prima richiesta formale al governo, in caso
di approvazione, è la corte a disporre l’arresto e a pronunciarsi sull'eventuale
estradizione. Nel caso decidesse di procedere, l’ultima parola spetterebbe
nuovamente allo Chief Executive che può definitivamente disporre l’allontanamento
del soggetto accusato. Nella legge è però prevista la possibilità di appellarsi
contro tale decisione. In caso di ricorso dopo la pronuncia della corte, è
possibile l’annullamento completo della decisione presa e l’interruzione della
procedura. L’appello può avvenire anche al momento della decisione finale della
governatrice. In tal caso, però, anche se il ricorso dovesse essere accolto la
decisione tornerebbe nelle mani della corte che potrà decidere se confermare o
meno la propria precedente decisione.
Perché ha
scatenato le proteste? - Secondo i partiti di opposizione un ruolo così
centrale dello Chief Executive nel procedimento di estradizione presenta
degli aspetti problematici. Il rischio è che il leader del governo di Hong
Kong, scelto da un comitato elettorale legato a Pechino, si sentirebbe in qualche
modo obbligato ad accettare le richieste di estradizione provenienti dalla
Cina. Anche le organizzazioni per la tutela dei diritti umani temono che la
legge possa diventare uno strumento nelle mani di Pechino per silenziare voci
dissidenti ad Hong Kong come già accade in Cina. Questo timore è aumentato dopo
che Han Zheng, membro dell’Ufficio politico del Partito comunista cinese, ha annunciato
il suo sostegno alla legge dichiarando che questo provvedimento potrebbe
riguardare anche i cittadini di Hong Kong “sospettati di aver messo a rischio
la sicurezza nazionale della Cina”. Il rischio è dunque che Hong Kong perda gran
parte della propria economia diventando schiava del regime cinese, considerato
liberticida dai protestanti e con un sistema giudiziario totalmente diverso. In
Cina è ancora prevista, come denunciano gli attivisti per i diritti umani, la
pena di morte per reati di particolare gravità, ciò non accade invece nell’ex
colonia dove l’esecuzione capitale è stata abolita nel 1993.
Contro la legge sull'estradizione si è espresso anche Mike
Pompeo, Segretario di Stato degli Stati Uniti, che ha criticato l’emendamento,
sostenendo che potrebbe danneggiare lo stato di diritto a Hong Kong. Anche L’Unione
Europea, il Regno Unito e numerosi altri stati hanno espresso la loro preoccupazione
e i loro dubbi riguardo a tale riforma. La camera di Commercio di Hong Kong ha
addirittura diffuso una nota in cui ha affermato che i cambiamenti potrebbero
indurre le imprese a riconsiderare la scelta della città come sede regionale.
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Due milioni di persone alla manifestazione del 16 giugno
(ph: Bloomberg)
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Nonostante siano arrivate condanne unanimi a questa legge,
Carrie Lam è comunque decisa a portare avanti la riforma. Nel discorso in cui
annunciava il rinvio, oltre ad aver annunciato di non aver intenzione di
rassegnare le dimissioni, ha ribadito la necessità di tale documento. Non è un
caso, dunque, la manifestazione più imponente si è avuta il 16 giugno, proprio il
giorno successivo alle dichiarazioni della governatrice, quando quasi 2 milioni
di persone hanno sfilato nella più grande manifestazione della storia di Hong
Kong. Se in una situazione del genere sembra inevitabile il ritiro definitivo
dell’emendamento, la governatrice non sembra intenzionata a percorrere questa
strada. L’impressione è che in questo caso l’autonomia della Chief Executive sia minata dalle pressioni di Pechino che spinge per l’approvazione
della riforma. Dall'altra
parte, anche i manifestanti non sembrano per nulla
intenzionati a fermare le proteste e in un clima di crescente tensione, giunta
all’apice nella giornata di ieri, continuano a scendere in piazza e a chiedere
le dimissioni della governatrice al grido di “Carrie Lam! Downstairs!”.
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