“Sconfiggere le
mafie è possibile, oltre a essere una
necessità
vitale per l'equilibrio e lo sviluppo del Paese.
Pio La Torre ha
testimoniato che le mafie possono essere duramente
colpite ogni
volta che si realizza una convergenza tra le forze positive della società”
-Sergio
Mattarella-
20 mila persone sfidano il freddo per marciare insieme a
Foggia. Nella città teatro di un sanguinoso inizio 2020, con un omicidio e 5
attentati, è andata in scena #FoggiaLiberaFoggia, una manifestazione nazionale
indetta da Libera per dire basta alla violenza mafiosa in un territorio sempre
più assediato. È la “Quarta Mafia” e da ormai diverso tempo ha dichiarato guerra
allo stato e vuole affermare il proprio potere nella zona anche, e soprattutto,
attraverso omicidi ed intimidazioni.
I fatti – il 9 agosto 2017 la mafia foggiana ha
mostrato tutta la sua forza e spietatezza. Un gruppo di fuoco armato di pistola,
kalashnikov e fucile a canne mozze ha atteso sulla pedegarganica il presunto
boss Mario Luciano Romito e suo cognato, Matteo De Palma. Al passaggio del
maggiolone nero con a bordo i due uomini gli aggressori hanno aperto il fuoco
contro la vettura uccidendoli entrambi sul colpo prima di inseguire e freddare Luigi
e Aurelio Luciani che nulla centravano in quelle dinamiche ma che avevano visto
la scena diventando testimoni scomodi. Un delitto, passato alle cronache come
strage di San Marco in Lamis, che ha scosso Foggia e l’Intera Italia dimostrando
come questa nuova formazione criminale non si faccia scrupoli ad usare la violenza.
Una violenza brutale ed eccessiva consumata in pieno giorno a ridosso di una
strada provinciale tra le più trafficate della zona. Una violenza che da quel
giorno non si è mai fermata.
L’inizio del nuovo anno ha rappresentato in tal senso una
conferma di quanto accaduto negli ultimi mesi del 2019. Da Capodanno ad oggi,
in soli 11 giorni, tra Foggia e provincia si sono verificati 6 attentati
dinamitardi e un omicidio in pieno stile mafioso. Il 31 dicembre un ordigno era
esploso a ridosso della mezzanotte ad Apricena, a pochi chilometri da San
Severo, devastando un centro estetico. Poche ore più tardi un’altra bomba aveva
sventrato un bar a San Giovanni Rotondo mentre a Foggia, quasi in contemporanea,
due locali sono stati dati alle fiamme. Poi l’omicidio di Roberto D’Angelo,
commerciante d’auto, freddato da due killer in motorino mentre si trovava a
bordo della sua 500. Una scia di sangue e paura che ha convinto molti,
moltissimi cittadini, a scendere in piazza per dire basta. Basta alla mentalità
mafiosa che sta impregnando il territorio, basta alle intimidazioni con cui si
prova a far piegare la testa agli onesti, basta con la paura che la mafia
vorrebbe coltivare in questa provincia. Quasi 20.000 persone sono scese in
piazza in un lungo corteo per riprendersi la città che vivono e che amano. Una
città che non può essere lasciata in mano a chi la vorrebbe distruggere.
Ma la grande mobilitazione cittadina non ha fermato i clan.
Poche ore dopo la grande marcia, un nuovo attentato ha fatto sprofondare il
foggiano nella paura. In quella che sembra essere una risposta alla
manifestazione di Libera, nella notte una bomba è stata fatta esplodere davanti
ad un negozio a Orta Nova. L’ordigno ha divelto la saracinesca, frantumato la
vetrina e rovinato gli arredi interni. L’ennesima intimidazione ai danni di un
commerciante e, allo stesso tempo, di una figura politica. Il negozio colpito è
infatti di Marianna Borea, 38 anni, sorella di Paolo Borea presidente del
Consiglio Comunale a cui, il 21 dicembre scorso, era stata bruciata l’auto
nella notte.
Quarta Mafia – a seminare il panico in una
provincia che, da sola, è grande quanto il Friuli-Venezia Giulia è la “Quarta Mafia”.
Un’organizzazione criminale di cui poco si è sentito parlare ma che, grazie a
questo silenzio, ha potuto agire indisturbata e acquisire forza e potere. Una
mafia per certi versi ancora “acerba” che, a differenza delle tre organizzazioni
storiche, sta cercando di affermare la propria presenza sul territorio a suon
di attentati e intimidazioni. Un’organizzazione che, come riportato dalla
Direzione Investigativa Antimafia, ha imparato da Camorra, Cosa nostra e ‘ndrangheta
riuscendo a “coniugare tradizione e modernità". Le tre organizzazioni presenti
sul territorio foggiano, società foggiana, mafia garganica e malavita
cerignolana, stanno sempre più convergendo verso posizioni comuni stringendo
accordi che possano favorire tutti gli attori coinvolti in un’ottica di
pacificazione che possa permettere di agire in modo meno evidente.
Tra le tre, però, una posizione di assoluta centralità è
svolta dalla mafia foggiana, divenuta fulcro della criminalità organizzata del
territorio attraverso la progressiva espansione nei territori della provincia e
la ricerca di convergenze finalizzate ad una gestione monopolistica delle
attività illecite. Nella città di Foggia sono attive tre “batterie”, i clan
della quarta mafia, che pur se fortemente ridimensionate dalle attività
investigative e giudiziarie, restano particolarmente attive nel traffico degli
stupefacenti e nelle estorsioni, riuscendo a specializzarsi anche nel riciclaggio:
I Sinesi-Francavilla, i Moretti-Pellegrino-Lanza e i
Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese. Le batterie sarebbero, secondo gli inquirenti, fortemente
basate su legami familistici e ciò le renderebbe in un certo senso molto simili
alle famiglie di ‘ndrangheta creando un forte legame di sangue tra i vari
membri. Ma se per l’affermazione del potere sembra valere la regola del più
forte, che ha spesso portato ad atti di violenza anche eclatanti, non mancano “patti
federativi” con cui le tre batterie cercano di trovare sinergie e interessi
comuni per gli affari principali. Nell’ultimo rapporto semestrale pubblicato,
la DIA parla di “rapporti magmatici e contraddittori” tra le batterie le quali sarebbero
in grado di far coesistere i rapporti conflittuali e gli accordi e la
conduzione in comune di affari particolarmente rilevanti. In comune vi sarebbe
anche la cassa in cui vengono depositati parte dei profitti delle tre batterie
e la cosiddetta “lista delle estorsioni”, documento nel quale erano
analiticamente registrate le persone sottoposte al racket.
L’area garganica è caratterizzata da una presenza di
diversi gruppi criminali con una forte vocazione verticistica, basati
essenzialmente su vincoli familiari, gerarchicamente non legati tra loro ma che
attraverso una serie di antiche alleanze con le tre batterie foggiane hanno stabilito
una sorta di equilibrio anche nel territorio del Gargano. Traffico di
stupefacenti, atti predatori, estorsioni e riciclaggio caratterizzano pressoché
tutti i gruppi dell’area che sembrano essere particolarmente legati alla
società foggiana e dunque non pienamente liberi di agire in modo indipendente. I
Li Bergolis, originari di Monte Sant’Angelo, operano in sinergia con altri
sodalizi presenti nell’area del promontorio nonché con il clan foggiano Francavilla.
Sono in conflitto con il clan Romito-Gentile di Manfredonia-Mattinata, che
vanta, invece, rapporti con i clan Moretti e Trisciuoglio della Società
foggiana, con la malavita di Cerignola e con gruppi del promontorio garganico,
in particolare di Vieste e Monte Sant’Angelo. Proprio in questo contesto è
maturata la strage di San Marco in Lamis, per cui sono stati arrestati come
esecutori materiali due esponenti del clan Li Bergolis, che aveva dato il via
ad una dura contrapposizione tra i due clan nel più ampio contesto della “faida
di Vieste” portando ad una luga scia di sangue che aveva interessato tutta l’area
nel primo semestre del 2018.
La malavita di Cerignola, invece, sembra essere molto
strutturata ed in grado di controllare in modo capillare il proprio territorio.
La criminalità cerignolana, rappresentata dai clan Piarulli e Di Tommaso (rinvigorito
dalla scarcerazione di alcuni esponenti di peso), mantiene la propria vocazione
verso i reati predatori realizzati con forme di pendolarismo. I gruppi di
Cerignola sono negli anni anche divenuti punti di riferimento per le altre
organizzazioni criminali nazionali sia nel sostegno delle latitanze, sia nelle
attività di riciclaggio, grazie alla capacità di schermare efficacemente i
profitti illeciti, anche mediante prestanome, in attività di ristorazione,
nella filiera agroalimentare e nel commercio di carburante.
Reazione – Una presenza pervasiva e forte che,
però, non viene messa all’angolo dai cittadini. Se infatti la grande marcia
organizzata da Libera sembra essere stata una forte risposta al potere e alla
violenza mafiosa, è anche evidente che fino ad oggi il territorio foggiano è
stato in gran parte assoggettato in un clima di omertà diffusa. Nel 2018 è
stata la provincia in Italia con il minor numero di denunce: appena 4 esposti
all’autorità giudiziaria per usura e soli 179 per estorsione. Di certo numeri
che non rispecchiano la realtà di un territorio in cui, tra il 2016 e il 2019,
ci sono stati 67 tentati omicidi e 58 omicidi. Ma, questa volta, non si può
puntare il dito contro lo Stato. Lo sforzo di istituzioni e forze dell’ordine è
evidente e prezioso. Il piano straordinario integrato per la sicurezza
pubblica, coordinato dal prefetto di Foggia Massimo Mariani, sta portando ad
una stretta sulla criminalità foggiana e all’arresto di diversi esponenti
apicali della “Quarta Mafia” che ha subito un duro colpo e sembra ora essere
nel pieno di un riassestamento interno.
La marcia di Libera, dunque, deve essere un punto di inizio.
Deve essere l’inizio di una presa di coscienza da parte dei cittadini. L’inizio
di una resistenza civile alla criminalità che vorrebbe ergersi ad anti stato e
governare con intimidazioni e violenza il territorio foggiano. Serve una presenza
più attenta dei cittadini, una maggior collaborazione on quelle forze dell’ordine
che, anche a fronte di gravi perdite, stanno facendo ogni sforzo possibile per
arginare un fenomeno criminale inaccettabile per un paese civile e democratico.
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